Il risiko della ceramica irrompe in salotto (buono)
La holding di partecipazioni milanese Mittel compra Ceramica Cielo di Viterbo. E’ l’ultimo colpo nella girandola di acquisizioni che da anni rimescola le carte a Sassuolo e dintorni. In Italia piovono capitali stranieri, ma i campioni tricolore rispondono con investimenti green fields in America e Russia.
Giugno 2017 ha regalato un player di peso al distretto della ceramica tricolore. Un distretto diffuso perché, pur avendo Sassuolo come indiscussa capitale, si ramifica tra la Bassa emiliana, il circondario faentino e una propaggine nel Lazio. Proprio lì è arrivato il nuovo giocatore. Si chiama Mittel spa, e, con 15 milioni di euro, ha acquistato l’80% della Ceramica Cielo. Sede a Viterbo, produce sanitari di ricercato design e, più in generale, complementi d’arredo per il settore luxury. L’altro 20% delle azioni, e la carica di ad, restano al fondatore Alessio Coramusi. La milanese Mittel è una delle più note holding di partecipazioni del Belpaese, nonché uno degli ultimi salotti buoni del capitalismo settentrionale, essendo stata fondata niente meno che da Giovanni Bazoli. L’impegno di Mittel nel mondo della ceramica non è una completa novità: la finanziaria è infatti socia di Progressio, una sgr che dal 2006 al 2012 tenne sotto il proprio controllo, in coabitazione con Lauro Giacobazzi, il Rondine Group di Rubiera. Quando Progressio uscì, a gennaio 2013, le porte girevoli si mossero in senso inverso per il colosso ottomano Seramiksan. Nonostante i rumors dell’estate scorsa su possibili rimescolamenti di quote, i turchi mantengono il 50% di una realtà con quasi 300 dipendenti e un fatturato di oltre 85 milioni. All’epoca dell’approdo di Seramiksan il distretto era ancora frastornato da quello che resta l’affare del secolo, consumatosi a Natale del 2012. A un mese dalla morte del patron Filippo, la Marazzi, di gran lunga leader del settore sotto qualsiasi indicatore di performance, passò per un 1,17 miliardi di euro a Mohawk Industries. Il gigante americano dei materiali da rivestimento (dalle moquette ai vinili), che sforna 8,6 miliardi di dollari di ricavi annui e vanta
34mila dipendenti, vide in questo gioiello del made in Emilia l’occasione per completare la propria gamma d’offerta con le lastre ceramiche. L’appetito, però, vien mangiando e a gennaio di quest’anno Mohawk ha concesso il bis, acquistando tramite Marazzi un nome carico di gloria come Emilceramica. Le cronache parlano di un affare da 150 milioni di euro (a fronte di un fatturato 2015 della società target pari a 182 milioni), che ha diviso i destini dei due storici reggenti di Emilceramica: se Sergio Sassi è rimasto con la nuova proprietà, a Villiam Tioli, o comunque al di fuori del perimetro del deal, sono rimaste l’ucraina Zeus e la quota nella joint venture indiana Nexion. Nelle valli della piastrella, i capitali americani sono forse, più che la regola, una significativa eccezione. Tale eccezione si rafforzò nel settembre 2014, quando un altro colosso quale Ferro Corporation (già titolare di un presidio a Fiorano) fece arrivare 108 milioni di dollari dall’Ohio a Casola Valsenio, per accaparrarsi la Vetriceramici (oltre 50 milioni di fatturato e impianti anche in Messico, Polonia e Turchia). A queste latitudini, nondimeno, gli affari dal sapore esotico rappresentano una lunga consuetudine. Florim, per esempio, ha da poco confermato, in un mini-riassetto della filiera societaria, la partnership strategica e azionaria con i thailandesi di Siam Ceramics, che hanno peraltro partecipato al rilancio della ex-Cerit di Mordano. Gs Luxury Group, realtà costituita nel 2014 che sforna piastrelle con l’insegna Tonino Lamborghini, ha un’intesa per l’esternalizzazione produttiva con il gruppo boliviano Faboce. Nel maggio 2015, l’egiziana Omega Ceramics, non paga dei sei impianti detenuti in patria, rilevò ad Alfonsine, nel ravennate, la fabbrica un tempo appartenuta alla Cercom, appendice della sventurata CoopCostruttori di Argenta. E i turchi di Kale Group, erano calati sull’Emilia già nel 2011, ancor prima di Seramiksan, per rilevare dal concordato preventivo la polpa della vecchia Edilcuoghi. L’idea era portare nella penisola da un lato capitali, dall’ altro un canale d’accesso al bacino mediterraneo; prendendosi in cambio, ovviamente, fette di un know how unico al mondo. Ora, però, le mire di Kale si sono quanto meno ridimensionate, in particolare dopo la cessione del compound parmense di Borgotaro a Laminam. Laminam è stato il mezzo con cui System Group è passato, con il terzo millennio, dai macchinari per ceramica direttamente al prodotto finale, e questo per volontà ostinata del patron Franco Stefani, che ha così imposto al mercato il nuovo standard delle lastre sfornate dalle sue macchine, ossia mattonelle di grandi dimensioni _ tre metri e oltre per due metri e mezzo _ adatte agli esterni e perfino a particolari soluzioni d’arredo. Quella che era una scommessa personale si è tramutata in un gioiello da 220 addetti e 68 milioni di entrate nel bilancio 2016, anno in cui l’azienda ha assunto il controllo anche di Laminam Rus. Quest’ ultima è la società che gestisce il terzo impianto del gruppo, 1.400 metri quadrati in esercizio da marzo a 100 chilometri da Mosca. E se Stefani e i suoi accoliti già pensano alla Cina, dove da tempo sono in corso trattative per costituire una nuova joint venture, la Federazione Russa ha fatto da teatro, lo scorso gennaio, all’espansione estera della rubierese Litokol, che ha acquisito il 21% di Estima Keramika, primo operatore del Paese. Considerando che Litokol ha come core business i collanti per l’edilizia, emerge dunque un altro caso di operatore dell’indotto che si muove verso l’anello terminale della filiera del valore. Un altro fenomeno è la forte spinta all’internazionalizzazione. Secondo l’ultima indagine congiunturale di Bper Banca e Confindustria Ceramica, infatti, le 16 società di diritto estero a controllo italiano hanno occupato, nel 2016, 3.283 addetti, dando vita a 85 milioni di metri quadrati di prodotto e 855 milioni di euro di ricavi (le imprese residenti in madrepatria hanno invece incassato 5,4 miliardi, a cui si aggiungono i 776 milioni dei produttori di ceramica sanitaria, materiali refrattari e stoviglie). Ben prima che gli yankees sbarcassero sulle rive del Secchia, del resto, i sassolesi avevano piantato le proprie bandierine tra Texas e Tennessee. L’ultimo a muoversi è stato il Gruppo Concorde, che nel 2016 ha inaugurato a Mount Pleasant uno stabilimento da cui oggi escono le piastrelle a marchio Landmarks. Nel prossimo futuro, punta a radicarsi oltre l’Atlantico Cerdomus, altro alfiere del segmento romagnolo del distretto; segmento il cui campione, Del Conca Group, pure detiene dal 2014 un complesso industriale in Tennessee, peraltro già ampliato alla luce, evidentemente, degli ottimi riscontri commerciali. Di investimenti green field, insomma, i piastrellari ragionano volentieri all’estero, mentre in Italia i capitali si riversano piuttosto sull’esistente. Se la Ceramica Castelvetro di Igino Guazzi in questo 2017 ha acquistato lo stabilimento ex Gambarelli di Solignano, alla fine della scorsa estate la famiglia Salvarani, quella della Gresmalt, si era ripresa il sito industriale appenninico di Frassinoro dal concordato di Terre della Badia. Le procedure concorsuali negli anni di una profonda crisi oggi brillantemente superata sono state uno dei principali propulsori di questa giostra di fusioni e acquisizioni che non ha alcuna voglia di fermarsi. Non pochi occhi, in questi mesi, sono puntati sul manager bolognese Graziano Verdi, per un quarto di secolo delfino di Romano Minozzi che poco più di un cinque anni fa gli affidò l’unificazione dei due caposaldi del proprio impero, Iris e GranitiFiandre. Verdi, a fine 2016, ha mescolato le proprie forze con Mandarin Capital Partners, l’operatore di private equity ideato dall’amico e concittadino Alberto Forchielli: ne è nato il progetto Italcer, realtà che non nasconde l’ambizione di diventare polo aggregatore di imprese già esistenti e in cerca di nuove glorie, un campione nazionale dell’alto di gamma con fortissima propensione all’export. Dopo aver sottoscritto un’opzione per integrare il gruppo umbro Tagina, Italcer ha conquistato La Fabbrica di Castel Bolognese; ma, visto l’obbiettivo di arrivare ai 500 milioni di ricavi annui, il suo appetito non è affatto ancora saziato.
Nicola Tedeschini