La «fattura» ben fatta fa crescere le Pmi emiliano-romagnole
Fatturato e valore aggiunto hanno ritrovato i livelli pre-crisi tra le piccole e medie società di capitale in Emilia-Romagna. Il secondo “Rapporto Pmi Centro-Nord” di Confindustria e Cerved analizza in particolare le 112mila imprese del Centronord. Il recupero di redditività è ancora lontano per tutte, ma l’innovazione corre.
Il 10% delle piccole e medie imprese italiane che operano in forma di società di capitale ha sede in Emilia-Romagna: 13.840 su 136.631, con 385mila addetti (sul totale di 3,8milioni). Dall’inizio della crisi, nel 2007, ne sono scomparse 3mila, il 7,7% (in Italia il 9%); ma ora l’emorragia si è arrestata. Il valore aggiunto superiore ai 20 miliardi di euro, e il fatturato, a quota 95 miliardi di euro, entrambi con incrementi del 4% su base annua, già nel 2014 avevano recuperato il valore pre-crisi del 2007. Per ciò che riguarda il valore aggiunto, il dato è in linea con l’andamento nazionale (relativo allo stesso universo di Pmi di capitale); ma per il fatturato solo il Nordest, in media, ha saputo fare altrettanto (con il picco del Trentino-Alto Adige oltre il 4%), mentre il dato nazionale resta negativo di oltre un punto e mezzo, e all’intero Nordovest mancano oltre 4 punti percentuali. All’universo pregiato delle 112mila Pmi di capitale del Centro-nord, con i principali indicatori articolati per regione, è dedicata la seconda edizione del “Rapporto Pmi Centro-Nord 2017”, elaborato da Confindustria e Cerved. Oltre ai dati di bilancio e alle dinamiche demografiche, analizza anche le abitudini di pagamento e il merito di credito, e dedica un focus particolare alle startup e alle imprese innovative. Tutti dati preziosi. Ma, in anni in cui le cose cambiano molto in fretta, l’unico limite del rapporto è rappresentato dall’utilizzo di dati non più freschissimi, perché riferiti nella maggior parte dei casi al 2014 e solo talvolta al 2015. L’elevata automazione del registro delle imprese consente ampi spazi di miglioramento per questo tipo di ricerche: bisognerebbe uscire in autunno, con i dati riferiti all’anno precedente. Nonostante molte oscillazioni tra una regione e l’altra, quasi tutti i segnali convergono sul superamento della crisi e il consolidamento della ripresa, che in questo piccolo universo-locomotiva è arrivato prima che nel resto del Paese. Basti dire che già nel 2015 il margine operativo lordo è stato generalmente positivo per il terzo anno consecutivo. Ma, mentre nei due precedenti l’Emilia-Romagna (+3,1 e +4,7%) si era messa timidamente sulla scìa del dato nazionale e a rispettosa distanza dal Nordest, nel 2015 la performance regionale è stata notevole: +5,8%, il secondo miglior dato assoluto, dopo l’8% del Friuli-Venezia Giulia; con il dato nazionale più indietro di quasi due punti (+3,9%) e quello del Nordest fermo a +5,1%. Ma questo non è bastato a colmare la perdita di redditività: il margine operativo lordo è una grande cicatrice, che mostra i segni della crisi. Rispetto al 2007 all’Emilia-Romagna ne manca un quarto (-24,2%): non molto meglio del dato complessivo (-25,6%) e quasi tre punti peggio del Nordest (-21,4%). Non consola che il Nordovest stia peggio (-29%). La redditività netta misurata dal Roe, un tempo a due cifre per tutti, nel 2015 lo è stata solo per il Veneto (10,8%), che ha trainato il Nordest (9,2%) avvicinandolo al Nordovest (9,3%). L’Emilia-Romagna si è fermata a 8,7%, in linea con il dato generale dell’8,6%. Non brilla, in regione, la ripresa degli investimenti: ben superiore al 6% nel totale (trainato dal +7% del Centro) e nelle altre regioni del Nordest, si attesta al 5,7% in Emilia-Romagna, qualche decimale in più rispetto al Nordovest. Lo stock di debiti finanziari è di 27 miliardi di euro in Emilia-Romagna, quasi un miliardo e mezzo in più del Veneto, e oltre l’11% dei 240 miliardi di euro complessivi. Nel 2015 l’incremento è stato dello 0,7% rispetto a una crescita media dello 0,3% e addirittura a un arretramento di mezzo punto nel Nordest. Era già stato positivo di mezzo punto l’anno precedente, e in genere è più dinamico che altrove: +11,8% dal 2007, quasi il doppio della media nazionale; il triplo della media del Nordest. In dieci anni oltre 23 mila fallimenti hanno falcidiato questo universo di imprese, 2.179 dei quali in Emilia-Romagna. Per non dire delle altre procedure concorsuali e delle liquidazioni volontarie. Ma nel 2015, per il secondo anno, il fenomeno è in diminuzione. Segnale positivo, dicono gli ottimisti; solo la conferma che tutti i malati sono morti, osservano i realisti. La conclusione non cambia: sono rimasti i più capaci e innovativi, e anche per questo – oltre che per fattori internazionali – la ripresa si consolida pure sul fronte interno. Nel 2015 i fallimenti sono diminuiti del 21,7% in totale; del 28,8% nel Nordest, ed esattamente di un terzo in Emilia-Romagna (164 rispetto a 437), percentuale più elevata fra tutte le regioni. Sulla stessa linea si muove il dato dei pagamenti, con la diminuzione dei ritardi. Nel 2015 il valore delle fatture non saldate entro il trimestre di scadenza è stato, nell’universo delle Pmi di capitale, del 16,6%, e in Emilia-Romagna del 14,6%. Ha fatto meglio il Nordest (12,9%), ma il segnale positivo è rappresentato dal quinto anno consecutivo di riduzione dei mancati pagamenti, quasi ovunque nelle singole regioni e nelle tre circoscrizioni considerate; con la strana eccezione della Valle d’Aosta, che da cinque anni aggrava il ritardo nei pagamenti, dal 10,5% nel 2012 al 18,4% nel 2015. In generale la ricerca dimostra che le imprese “sopravvissute” hanno migliorato la patrimonializzazione, riducendo l’incidenza dei debiti sul capitale, e hanno diminuito l’incidenza degli oneri finanziari sui margini lordi. Va invece analizzato con prudenza il dato sulla nascita di nuove imprese nella fascia delle Pmi di capitale, perché oltre un quarto nel Nordovest (28,9%) e oltre un terzo nel Nordest (36,7%) sono costituite in forma di Srl semplificate, quindi certamente con un capitale modesto, nella migliore delle ipotesi di poche migliaia di euro. Tuttavia la ricerca, applicando una serie di parametri, ha censito nel 2016 quasi 89 mila “vere” nuove società di capitali, dato in leggera crescita (+0,5%) rispetto al 2015. Una ulteriore selezione, basta sulla presenza di investitori specializzati in innovazione e sui siti internet di startup, ha identificato oltre 16 mila società che producono innovazione, 13mila delle quali attive nel Centronord. A sua volta quest’ultimo universo è suddiviso per tre quarti (9.733) in start up innovative, che generano ricavi per 1,6 miliardi di euro e hanno investito 250 milioni di euro; il quarto restante è formato da 3.388 Pmi innovative, con oltre 108mila addetti e ricavi per 22 miliardi di euro. In Emilia-Romagna operano 1.215 start up innovative (il 12,5% del totale Centronord), con un indice di innovazione di 0,54, in assoluto uno dei più elevati. Questa partita si gioca tutta a Nordest, con un indice medio di 0,51 (doppio rispetto allo 0,28 del Nordovest) e punte in Trentino-Alto Adige (che supera l’unità) e Friuli-Venezia Giulia. Sono invece 413 le Pmi innovative emiliano-romagnole, e anche in questo caso rappresentano una quota superiore al 12% del totale Centronord. Gli indici di innovazione in questo segmento sono molto inferiori; in ogni caso eccelle il Nordovest (0,16) rispetto al Nordest (0,04) e all’Emilia-Romagna (0,03).
Angelo Ciancarella