Industria pesante e tlc scaldano l’estate delle crisi aziendali
Dopo la boccata d’ossigeno per Alitalia, ora Ilva ed ex galassia Telecom monopolizzano i tavoli del Mise. In Emilia-Romagna ultima chiamata per Mercatone Uno, ex Terex e Trs Evolution (Trussardi). Timori di tagli anche nelle tre aziende rilevate da multinazionali: Brevini, MetaSystem, Cellular Line. Il caso di BIQ-Ciemme rilevata da un mini workers buyout
L’estate sarà calda, in attesa di un autunno in cui diversi nodi potrebbero venire al pettine anche per le incertezze del quadro politico interno e internazionale. Questo segna il termometro delle crisi industriali del Belpaese. Apparentemente chetatasi la bufera su Alitalia _ ma pronta a riesplodere non appena le pieghe della gestione commissariale dovessero prendere qualche rotta imprevista _ il mese di maggio ha portato l’altrettanto apparente risoluzione di qualche crisi che minaccia comunque di lasciare pesanti strascichi occupazionali. Il pensiero corre evidentemente all’Ilva, dove la vittoria di Am Investco Italy ha spinto i sindacati a inaugurare il mese di giugno con uno sciopero, perché a fronte di 14.220 dipendenti attuali la cordata Arcelor-Marcegaglia-Intesa San Paolo vorrebbe una sforbiciata persino superiore alle 4.100 unità in cassa integrazione, nell’ottica di scendere a 9.400 addetti.
La stessa Alitalia, peraltro, è tuttora uno dei soci, ma soprattutto il primo cliente, di Atitech, società che si occupa di manutenzione e modifica degli aeromobili. Ebbene: al buon grado di incertezza dettato dalla crisi della compagnia si è aggiunta la preoccupazione per i 178 lavoratori di Napoli-Capodichino che Atitech aveva preso in carico da un altro suo azionista, ovvero Leonardo. Per loro, da metà giugno, dovrebbe scattare la cig straordinaria, mentre i sindacati chiedono a gran voce il riassorbimento dentro la ex Finmeccanica. Un piccolo esempio che basta a chiarire come sempre lì in Italia si torni, all’illusione che le vecchie partecipazioni statali possano assorbire manodopera ad libitum. Prendete i mille rivoli dell’ex impero Telecom Italia, rivoli ciclicamente forieri di crisi mozzafiato, da Sparkle a Seat Pagine Gialle. L’ultimo capitolo riguardava Italtel, che nata negli anni 20, dà tuttora da mangiare a 3mila famiglie da un po’ di tempo con il fiato sospeso. Fortunatamente, grazie alla sospirata intesa del 31 maggio, il pool di banche ora in maggioranza al fianco di Cisco cederà il passo a Exprivia, stellina pugliese della digital economy pronta a rilevare l’81% per 25 milioni di euro.
Nelle classifiche del Ministero dello Sviluppo Economico, il settore Ict-Telco ha il secondo maggior numero di tavoli di crisi aperti, 14, dietro solo all’industria pesante (26). E’ da sottolineare, peraltro, che la filiera soffre evidentemente anche a valle, perché tra i player della grande distribuzione di elettrodomestici è in atto un processo di razionalizzazione che non può non avere ricadute occupazionali. Dps Group, che gestisce i negozi a marchio Trony, ha per esempio avviato un piano di esuberi che coinvolge 163 risorse sulle 561 attive in Italia. Dietro l’Ict ci sono, a pari merito con 11 tavoli di crisi a testa, da un lato il tessile-abbigliamento, e dall’altro il comparto “cugino” dei prodotti elettronici e della componentistica elettronica. A parte occuparsi di grane apparentemente minori come la Flextronics Italy (65 interinali non rinnovati nell’hub ex-Alcatel di Trieste), il governo monitora dunque l’onda lunga delle grandi vertenze del recente passato, in primis Electrolux (312 uscite già avvenute da maggio 2014 a ora) e General Electric di Sesto San Giovanni (236 esuberi previsti tra 2016 e 2017), tra difficili ricollocamenti (o riassorbimenti) del personale e ancor più lente riconversioni dei vecchi siti industriali. E tuttavia di vertenze te ne spuntano che quasi non te ne accorgi: una delle ultime, si parla sempre di multinazionali, è la Marvell, che dalla Silicon Valley ha deciso di chiudere il polo di R&D di Pavia, lasciando a casa 78 lavoratori con qualifiche elevatissime, in gran parte cervelli ingegneristici con tanto di dottorato rientrati dall’estero proprio per sposare questo progetto.
A fronte di questo, sia chiaro, pure la old economy è ancora piena di spine. Agroalimentare, chimica ed edilizia vantano anch’essi una decina di procedure aperte al Mise a testa. Si tratta a volte di vicende, pure qui, magari non notissime al grande pubblico come quella della Tecnis, una società di costruzioni con sede a Catania e 500 dipendenti, caduta nel vortice delle tensioni finanziarie a causa di 40 milioni di insoluti degli enti pubblici, tra cui il Comune di Roma oggi guidato da Virginia Raggi. A questo quadro si aggiungono i problemi del grande filone logistica-trasporti, un filone che recentemente ha toccato duro l’Emilia-Romagna, con l’entrata di Artoni Trasporti, il 3 maggio scorso, in amministrazione straordinaria. Il caso Artoni è probabilmente la punta di un iceberg in una regione abituata sì a smottamenti industriali più o meno consistenti, ma non certo ai terremoti occupazionali, e che solo negli ultimi anni ha dovuto affrontare con una certa frequenza crisi sindacali da prima pagina, si pensi ai casi Selcom o Saeco.
Tuttavia il fronte più caldo, adesso, è probabilmente proprio Reggio Emilia. Lì, all’agonia di Artoni e dei colossi cooperativi, si aggiungono diversi interrogativi sulle ripetute acquisizioni di marchi storici dell’imprenditoria locale (MetaSystem, Brevini, Cellular Line) da parte di colossi esteri che, per usare una formula di rito, ragionano quasi sempre in maniera “globale”. Il precedente più preoccupante è la ex Terex di Lentigione di Brescello, recentemente acquistata dalla multinazionale finlandese Konecranes, che ha quindi annunciato l’intenzione di chiudere lo stabilimento da 158 dipendenti. Al momento, i tavoli istituzionali organizzati dalla Regione hanno ribadito l’obiettivo comune di salvaguardare i livelli occupazionali, e di garantire forme di sostegno pubblico alla continuità aziendale; intenti, tuttavia, che ancora non si sono tradotti in evoluzioni concrete.
A Modena, invece, tengono le dita incrociate i dipendenti della Edis, azienda di confezionamento figurine ceduta, nel 2016, da un erede della dinastia Panini a un gruppo veneto, che a febbraio ha poi annunciato 55 esuberi su 92 dipendenti. Sempre sotto la Ghirlandina, uno stato di “forte incertezza” viene denunciato anche dagli addetti della Trs Evolution, impresa di accessori per l’abbigliamento di proprietà del Gruppo Trussardi, dove il personale è già stato ridotto lo scorso anno da 130 a 90 unità, di cui 40 in cassa integrazione a zero ore. Scendendo verso la Romagna, una delle situazioni più rilevanti è ovviamente la Mercatone Uno: i commissari straordinari hanno spostato di un mese, al 16 giugno, la scadenza per la presentazione delle offerte per rilevare gli asset dell’ex impero dell’arredamento, che vanta oltre 3.200 dipendenti in tutta Italia.
Nel bolognese, intanto, dopo un biennio 2015-2016 ricco di paure, non mancano i segnali incoraggianti, piccoli e grandi: ad esempio, la recente intesa sindacale sulla BlQ-Ciemme (attiva nelle filiere del packaging e del medicale) permetterà di salvare 28 posti di lavoro ad Anzola, da un lato tramite il riassorbimento diretto nelle società controllanti, e dall’altro tramite un mini-workers buyout, visto che un gruppo di dipendenti diventerà socio della newco pronta a rilevare le attività industriali. Per il resto, si attende l’avverarsi delle promesse di ripartenza che sindacati e istituzioni hanno sentito pronunciare negli ultimi mesi su tanti, forse troppi fronti. In particolare, il 25 maggio ancora il Mise ha ospitato un incontro tra le parti sindacali concernente Industria Italiana Autobus. Quest’ultima ha confermato la volontà di mantenere lo stabilimento di progettazione e produzione ex-Bredamenarinibus, che oggi conta su 170 addetti; per 90 di loro è vicina la proroga della cassa integrazione dal 31 agosto al prossimo 31 dicembre.
Nicola Tedeschini