Coesia fa shopping in Gran Bretagna con la divisione Tabacco di Molins

Il gruppo bolognese Coesia ha acquisito la Instrumentation and Tobacco Machinery, attualmente di proprietà della britannica Molins Plc. Con un fatturato di oltre 40 milioni di sterline nel 2016, Instrumentation and Tobacco Machinery opera nella progettazione, nello sviluppo e nella produzione di macchine automatiche per l’industria del tabacco, e, attraverso il marchio Cerulean, è leader nella fornitura di strumenti per il controllo qualità e di macchinari per l’analisi chimica del fumo. «L’acquisizione rappresenta per Coesia un ulteriore passo verso il rafforzamento della nostra leadership nel settore del tabacco», dichiara Angelos Papadimitriou, ceo di Coesia.

L’ultimo giro di valzer del credito sull’asse Unipol – Bper – Cariparma

Entro luglio si definirà il riassetto del sistema bancario regionale: Nuova Carife si accasa a Modena, le due Casse romagnole in crisi fanno rotta su Parma, Unipol Banca in vendita dopo la creazione di una bad bank. E il colosso assicurativo bolognese si mette al centro del risiko. Il nuovo fronte caldo delle Bcc 

 

Fine giugno con schiarite sul perturbato fronte bancario. Proprio l’ultimo giorno del mese, infatti, sono andati a posto due importanti tasselli del puzzle che sta ridisegnando la mappa del sistema creditizio emiliano-romagnolo. Il primo riguarda Unipol Banca, piccola, ma fastidiosa palla al piede del secondo gruppo assicurativo italiano controllato dalle cooperative aderenti alla Lega. In difficoltà da alcuni anni, la banca è ormai considerata un corpo estraneo rispetto ad un core business sempre più focalizzato sulle polizze. Ora verrà spezzata in due: una bad bank con 3 miliardi di crediti deteriorati e una good bank con tutti gli altri attivi. Quest’ultima è già di fatto sul mercato in cerca di un cavaliere che la porti fuori dal perimetro di Unipol. La bad bank, invece, sarà metabolizzata all’interno del gruppo. Sempre il 30 giugno, in serata, è stata Bper Banca ad annunciare di aver formalizzato l’acquisizione di Nuova Carife dopo che il giorno prima era arrivato l’ok della Bce e della Commissione europea. Perfettamente rispettati, quindi, i tempi indicati dall’ad della banca modenese Alessandro Vandelli fin dalla prima manifestazione di interesse, il 2 marzo scorso. Le due operazioni potrebbero rientrare nel medesimo scenario: Unipol è infatti salita al 9,9% del capitale Bper, diventandone il maggior azionista singolo, e  avrebbe già  chiesto a Bankitalia l’autorizzazione a superare lo sbarramento del 10%. Il numero uno di via Stalingrado Carlo Cimbri lo definisce «un buon investimento finanziario», ma  in realtà gli ambienti finanziari pensano che la partecipazione sia finalizzata a pressare il management di Bper perché si carichi sulle spalle Unipol Banca, a questo punto più appetibile perché ripulita di gran parte delle sue zavorre. Unipol e Bper sono anche soci in Arca Vita, la compagnia di scopo che produce le polizze  vita commercializzate dalla rete bancaria di Bper e da quella della Popolare Sondrio. Le due ex popolari sono poi i principali azionisti  di Arca Sgr e stanno trattando l’acquisizione del rimanente 40% oggi in mano alle due «cugine» venete il liquidazione. Unipol avrà un posto a tavola anche qui? Un altro tassello del risiko riguarda le due pericolanti Casse romagnole Carim e Cassa Cesena. Entro il 15 luglio scade l’offerta non vincolante di Crédit Agricole-Cariparma per rilevarle entrambe, a condizione però che prima siano anch’esse ripulite dei crediti deteriorati e che siano dotate di un capitale sufficiente a garantirne l’operatività a breve. Toccherà allo Schema volontario del Fondo di tutela dei depositi (Fitd) in accoppiata con il Fondo Atlante soddisfare  entrambe le condizioni. Tutto fa pensare però che alla fine i due istituti _ e la Cassa San Miniato in analoga condizione _, finiranno alla banca italo-francese con sede a Parma. Per le due romagnole si ipotizza addirittura la fusione in una neo costituita Cassa di Romagna sotto il controllo ferreo di Cariparma. Mentre insomma l’attenzione generale è catalizzata dal caso delle due ex popolari venete, proprio il sistema del credito emiliano-romagnolo si avvia a rimarginare le ferite di un terremoto durato quasi un lustro. In tutti e quattro i casi citati _ Carife, Unipol Banca, Carim e Cassa Cesena _ il vizio originario fu una sovraesposizione verso il settore immobiliare. Quello turistico alberghiero per le due banche affacciate sulla Riviera, la Coop Costruttori di Argenta per l’istituto estense, altre coop edili e qualche palazzinaro romano, oltre alla non riuscita integrazione banca-assicurazione, per i circa 300 sportelli con le insegne dell’Unipol. Per concludere il poco edificante quadretto della finanza emiliano-romagnola, non si può non accennare al putiferio che sta squassando la Repubblica del Titano. La Cassa di Risparmio di San Marino, principale banca del piccolo Stato con oltre 250 milioni di crediti deteriorati in pancia, è già stata nazionalizzata; la seconda, Asset Banca, è in liquidazione coatta amministrativa e ha sospeso l’operatività per mancanza di liquidità; la terza, il Credito industriale Sammarinese (Cis),  è appesa all’offerta di un salvatore in kefiah proveniente dal Golfo Persico.  Ma procediamo con ordine. Al passaggio di Carim e Cassa Cesena a Crédit Agricole-Cariparma mancherebbe solo l’accordo economico.  La «due diligence» sui conti ora in corso servirà agli italo-francesi per definire prezzo e modalità dell’offerta irrevocabile e al Fondo interbancario per quantificare gli oneri legati al rispetto delle condizioni poste dai primi. Dai bilanci delle due Casse devono essere  deconsolidate sofferenze e incagli (da 800 a 900 milioni per Rimini e 1,1 miliardi per Cesena) e  il principale indice di solidità patrimoniale, il Cet1,  deve rientrare per entrambe  nei limiti fissati da Bankitalia, cioè 10,6%. Fitd, col supporto del Fondo Atlante e della Sga ex Banco Napoli, dovrebbe rilevare oltre la metà dei crediti dubbi di Rimini, Cesena e San Miniato attraverso una maxi cartolarizzazione da 2,8 miliardi prevista per settembre. Al termine, calcolate perdite e coperture, il capitale di Cassa Cesena, al 95% già detenuto da Fitd, sarà svalutato da 280 a circa 130 milioni (questa l’offerta monetaria di Crédit Agricole), mentre Rimini e San Miniato dovranno essere ricapitalizzate dal Fondo interbancario che ne diventerà azionista di maggioranza e successivamente le venderà, a prezzo zero, agli italo-francesi. Le cifre sono da definire, come abbiamo visto, ma si parla di un fabbisogno di almeno 120 milioni per Rimini che nell’assemblea del 28 giugno ha dovuto abbattere il capitale per coprire le perdite di 72,9 milioni messe a bilancio per il 2016. Altri 140 milioni almeno costerà al Fondo interbancario la ricapitalizzazione di San Miniato. Viste le cifre in ballo, negli ultimi giorni si è diffuso il timore che Fitd non abbia risorse sufficienti e che quindi tutta l’operazione possa saltare. Se invece andrà in porto, i vecchi soci Carim, a partire dalla Fondazione che oggi detiene il 56%, si ritroveranno in mano solo briciole di capitale (il 5% al massimo), più un warrant da esercitare in futuro, a banca risanata. Si riprodurrebbe così grosso modo la stessa situazione già maturata a Cesena. Questa almeno la proposta che l’ad di Parma Giampiero Maioli avrebbe avanzato incontrando le due Fondazioni e ipotizzando la chiusura dell’operazione entro l’anno. Anche il passaggio di Nuova Carife a Bper è avvenuto a costo zero per l’acquirente. Anzi, a un euro. I vecchi azionisti e gli obbligazionisti subordinati erano stati azzerati un anno e mezzo fa quando la Cassa ferrarese finì nel mazzo delle quattro good bank salvate per decreto (Carichieti, Etruria e Banca Marche le altre ora finite a Ubi Banca) stavolta con i soldi del Fondo di Risoluzione. Prima del passaggio a Bper, poi, il Fondo ha dovuto sborsare altri 290 milioni per riportare il capitale della banca alla quota minima di 153 milioni, una volta coperte le perdite pregresse fra gestione ordinaria, svalutazione degli attivi e cessione del portafoglio dei crediti deteriorati al Fondo Atlante e al Credito Fondiario per circa 340 milioni. In totale, nei tre anni di calvario Carife ha bruciato qualcosa come 400 milioni di capitale. E per finire citiamo il duello che spacca l’universo riformato delle Bcc. La holding nazionale Iccrea e quella trentina Cassa Centrale Banca si sfidano per attrarre più piccole Bcc possibile nell’orbita dei propri gruppi nazionali. In Emilia-Romagna, dopo Banca di Bologna, anche la neonata Bcc Felsinea ha voltato le spalle al presidente bolognese di Iccrea e di Emil Banca Giulio Magagni e ha scelto il secondo polo con baricentro in Trentino. E non sono le sole: un’altra mezza dozzina di Bcc ha fatto rotta su Trento. L’elenco comprende la Bcc della Romagna Occidentale, la Banca Centro Emilia, la piccola Bcc Alto Reno e il Credito cooperativo reggiano. A livello nazionale la contesa vede 162 Bcc finite in Iccrea e 110 in Cassa Centrale. Quest’ultima, però, avrebbe qualche difficoltà a raccogliere i 690 milioni necessari a raggiungere il miliardo di capitale, livello minimo fissato da Bankitalia per potersi costituire in gruppo. Molte Bcc aderenti, infatti, non avrebbero versato l’intera quota a loro carico. Anche perché nemmeno il mondo delle Bcc è immune alle difficoltà del credito in generale. Anzi. Solo in Emilia-Romagna le pericolanti sarebbero quattro o cinque. Per salvarle occorrerà procedere a nuove fusioni sul tipo di quella che ha messo in sicurezza il Banco Cooperativo Emiliano di Reggio Emilia facendolo confluire in Emil Banca.   Ma questa sola  operazione è costata oltre 100 milioni al Fondo Temporaneo di garanzie di tutte le Bcc italiane. Con una dotazione complessiva di 400 per tutti i salvataggi in giro per l’Italia, una decina almeno, non è detto che il Fondo abbia risorse sufficienti per tappare tutti i buchi ancora aperti nella nostra regione.

Massimo Degli Esposti

 

Con il credito e gli investimenti in azienda tornano anche i profitti

Primi segnali di ottimismo nel rapporto di Banca d’Italia sull’economia dell’Emilia-Romagna. Recessione ormai alle spalle: più vicini che nel resto d’italia i livelli di Pil e produzione pre crisi. Ancora tossine da smaltire per le costruzioni e le banche

 

 

Dopo quattro anni di contrazione ininterrotta i prestiti alle imprese si sono stabilizzati. E anche se permangono molte differenze nell’erogazione dei finanziamenti fra settori produttivi e a seconda delle dimensioni delle aziende, le condizioni di accesso al credito stanno migliorando. Insieme alla crescita della produzione industriale e degli investimenti, è questo uno dei fattori messi in evidenza da Banca d’Italia, nel suo ultimo rapporto sull’economia dell’Emilia-Romagna, a conferma di come la lunga fase di recessione possa ormai essere archiviata nel passato. Per la regione la ripresa iniziata nel 2014 si sta infatti consolidando, con un aumento della produzione dell’industria in senso stretto che nel 2016 ha raggiunto l’1,5% grazie soprattutto alla volata di settori come quello della meccanica – storicamente radicato nelle province di Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza -, dei mezzi di trasporto e  dell’industria del legno. Che l’Emilia-Romagna stia assumendo il ruolo di locomotiva della ripresa del Paese è dimostrato sia dall’andamento del Pil, che ha quasi  completamente assorbito gli effetti della recessione (siamo a -3,7 punti dai livelli pre crisi, contro il -7 dell’Italia) sia dai numeri del fatturato delle imprese, in aumento più della media nazionale. E dopo anni di diminuzione dei margini di redditività, cartina di tornasole della salute delle aziende, il sistema produttivo ricomincia a macinare utili che favoriscono gli investimenti, in crescita del 3,2% e in linea con  le previsioni del 2015, sulla scorta di quel nuovo modello di manifattura sintetizzato con l’espressione Industria 4.0 che a partire dal 2011 ha fatto prepotentemente il proprio ingresso nel lessico internazionale delle imprese.

Il rapporto di Banca d’Italia evidenzia infatti come circa la metà delle aziende che compongono il sistema manifatturiero regionale nel 2016 ha sostenuto investimenti in tecnologie avanzate, contro il 46 e il 40%, rispettivamente, dell’area del Nord Est e della media nazionale. A sua volta il comparto turistico, che vale da solo circa 12 miliardi di euro come volume d’affari diretto, ha registrato  un incremento dei pernottamenti nelle strutture ricettive, anche per effetto della consistente ripresa delle presenze straniere, che nel 2015 si erano ridotte, con una crescita anche degli introiti da turismo internazionale, aumentati dell’8,2%, vale  a dire più della media nazionale. La crisi ha drenato la consistenza dello stock delle imprese, ancora in calo lo scorso anno dello 0,7%, spingendo fuori dal mercato le aziende più vulnerabili e fragili ma contemporaneamente favorendo un aumento del livello medio di solidità economica e finanziaria di quelle rimaste attive. Questo anche grazie alle esportazioni. In una regione storicamente vocata all’export – oltre il 70% della produzione è destinata a soddisfare la domanda proveniente da oltreconfine – il rallentamento dello scorso anno (con una crescita modesta dell’1,5% in termini nominali) non sembra pregiudicare le prospettive per il 2017, anno in cui le imprese prevedono un significativo miglioramento del fatturato generato dalle esportazioni. Ma è sul fronte della redditività che il sistema raggiunge i risultati migliori da dieci anni a questa parte (l’80% delle imprese della regione ha chiuso il bilancio 2016 con un utile d’esercizio), portandosi dietro il consolidamento della stabilità finanziaria, con il livello di indebitamento che resta pressoché invariato o in diminuzione, e con un netto miglioramento delle condizioni di accesso ai finanziamenti offerte dagli istituti bancari. Gli andamenti sono risultati divergenti tra classi dimensionali di impresa, con una selezione tra le aziende con almeno venti addetti – per le quali i prestiti sono aumentati dello 0,5% – e le imprese di minori dimensioni, che continuano a pagare lo scotto di una maggiore fragilità, e per le quali i finanziamenti erogati sono diminuiti del 3,6%. Su questo, fronte per quanto riguarda i settori, il credito a quello dei servizi è rimasto invariato mentre è aumentato quello destinato al manifatturiero (un balzo dell’1,8%), sospinto dall’industria alimentare e da quella dei macchinari. Ancora in flessione invece il credito al settore delle costruzioni, che, seppure in lieve ripresa rispetto agli anni passati, sta pagando un prezzo ancora molto alto alla recessione. Del resto anche il settore bancario continua a soffrire. Il flusso dei nuovi crediti problematici, nota Banca d’Italia, è finalmente diminuito, ma «i bilanci bancari risentono ancora dell’accumulo di prestiti deteriorati avvenuto durante la lunga recessione». Gli istituti, soprattutto i maggiori,  hanno risposto riconfigurando la propria rete commerciale. In altre parole tagliando sportelli e riducendo il personale. Ciononostante i prestiti bancari totali a famiglie e imprese sono lievemente aumentati.

Natascia Ronchetti

 

Nuovo centro logistico DHL all’aeroporto di Bologna

Si rafforza, con un nuovo centro cargo, la partnership tra DHL Express e l’aeroporto di Bologna. Il gruppo della logistica e la AdB Aeroporto, società di gestione dello scalo emiliano, hanno sottoscritto un accordo per la realizzazione di un nuovo centro logistico da 15.000 metri quadrati per cui la stessa DHL Express investirà «26 milioni di euro». La struttura verrà realizzata da AdB entro il 2020 e sarà data in subconcessione a DHL Express.«Siamo molto lieti – ha commentato l’amministratore delegato e direttore generale dell’Aeroporto di Bologna, Nazareno Ventola – di sottoscrivere questo nuovo accordo con DHL: è la conferma della bontà del percorso intrapreso in questi anni nel settore cargo, un mercato che ci vede in continua crescita con oltre 47.000 tonnellate di merce trasportate nel 2016, per un incremento del 16,4% sull’anno precedente».

A Bologna nasce FIVE, leader nei veicoli elettrici

Oltre dieci milioni di investimento, uno stabilimento industriale autosufficiente dal punto di vista energetico, cinquanta assunzioni in vista e 35.000 veicoli elettrici all’anno a pieno regime: nasce a Bologna Five, Fabbrica italiana veicoli elettrici, ma anche «cinque» in inglese, come cinque saranno i segmenti della mobilità elettrica leggera di cui ci si occuperà. Five sorge su un’area di 7.100 metri quadrati, riedificando anche una parte dell’ex stabilimento Bruno Magli: l’edificio è stato costruito secondo la logica Zeb (Zero Energy building) ed è alimentato al 100% da energia rinnovabile. Oltre alla produzione di veicoli elettrici, Five lancerà sul mercato anche le ciclostazioni Lockbike, realizzate per poter parcheggiare e proteggere dai furti qualsiasi tipo di bicicletta, elettrica o tradizionale.

Lamborghini, altre 200 assunzioni per il nuovo reparto verniciatura

Confermata dalla Lamborghini la nascita, a Sant’Agata Bolognese, dello stabilimento di verniciatura per il nuovo suv Urus. Secondo la casa automobilistica emiliana il nuovo reparto sarà operativo entro fine 2018, si svilupperà su oltre 10.000 metri quadrati e si stimano fino a 200 nuove assunzioni entro il raggiungimento della piena capacità produttiva dell’impianto. Il nuovo edificio, viene sottolineato, «sarà costruito entro la fine del 2018 e sarà destinato alla verniciatura delle scocche del suv, il cui arrivo sul mercato è fissato per il prossimo anno».

Ducati di nuovo in vendita? Rumors su fondi e Hero Moto

I fondi Permira e Cvc Capital Partners e alcune società del settore motociclistico, come le indiane Hero MotoCorp e Eicher Motors, sarebbero interessate a Ducati. Lo scrive Bloomberg, citando fonti del settore. Secondo l’agenzia di stampa, Volkswagen potrebbe avviare il processo di vendita nelle prossime settimane e Ducati potrebbe essere valutata più di un miliardo di dollari. Volkswagen avrebbe iniziato a sondare i potenziali offerenti all’inizio di quest’anno come una tra le ipotesi strategiche allo studio per compensare i contraccolpi subiti dal Diesel Gate.

Ubertini (Unibo): per i tecnici piu’ domanda che offerta

«La domanda di figure, soprattutto in alcuni territori e questo è uno di quei territori, che operano in ambito tecnico-tecnologico è superiore all’offerta». Lo sostiene il rettore dell’Università di Bologna, Francesco Ubertini. «Lo dicono le singole aziende e lo dicono le associazioni. In questo momento – ha detto Ubertini – in un sistema Italia che ha un problema di occupazione giovanile, ci sono invece alcuni settori in cui l’occupazione è piena. Poi potremmo aprire una parentesi sugli stipendi che sono bassi rispetto alle competenze acquisite».

Barilla sbarca in California con una rete di ristoranti

La geografia dell’offerta ristorativa a marchio Barilla si amplia. Negli Usa, oltre alla conferma nei tre ristoranti a Manhattan, nel cuore di New York, sono iniziate le attività per l’apertura di nuovi locali sulla costa californiana, a Los Angeles. Nel corso dell’anno scorso, l’azienda di Parma ha inoltre siglato un accordo di franchising con un importante operatore locale nell’area dei paesi arabi facenti parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che ha portato all’apertura di due ristoranti a Dubai.

Ima, un trimestre boom fa ben sperare sul 2017

Il gruppo bolognese del packaging Ima chiude il primo trimestre 2017 con ricavi a 294,4 milioni di euro (+20,6%), margine operativo lordo a 29,6 milioni (+49,5%) e utile operativo a 20 milioni di euro (+80,2%) e utile prima delle imposte a 16,9 milioni (+87,8%). Per il 2017 ha spiegato il presidente ed ad Alberto Vacchi si stima «una crescita dei ricavi e dei profitti, grazie al buon andamento degli ordinativi in tutti i mercati di riferimento». Le novità presentate alla fiera tedesca di Interpack «sono state accolte positivamente da parte della nostra clientela internazionale».