Entro luglio si definirà il riassetto del sistema bancario regionale: Nuova Carife si accasa a Modena, le due Casse romagnole in crisi fanno rotta su Parma, Unipol Banca in vendita dopo la creazione di una bad bank. E il colosso assicurativo bolognese si mette al centro del risiko. Il nuovo fronte caldo delle Bcc
Fine giugno con schiarite sul perturbato fronte bancario. Proprio l’ultimo giorno del mese, infatti, sono andati a posto due importanti tasselli del puzzle che sta ridisegnando la mappa del sistema creditizio emiliano-romagnolo. Il primo riguarda Unipol Banca, piccola, ma fastidiosa palla al piede del secondo gruppo assicurativo italiano controllato dalle cooperative aderenti alla Lega. In difficoltà da alcuni anni, la banca è ormai considerata un corpo estraneo rispetto ad un core business sempre più focalizzato sulle polizze. Ora verrà spezzata in due: una bad bank con 3 miliardi di crediti deteriorati e una good bank con tutti gli altri attivi. Quest’ultima è già di fatto sul mercato in cerca di un cavaliere che la porti fuori dal perimetro di Unipol. La bad bank, invece, sarà metabolizzata all’interno del gruppo. Sempre il 30 giugno, in serata, è stata Bper Banca ad annunciare di aver formalizzato l’acquisizione di Nuova Carife dopo che il giorno prima era arrivato l’ok della Bce e della Commissione europea. Perfettamente rispettati, quindi, i tempi indicati dall’ad della banca modenese Alessandro Vandelli fin dalla prima manifestazione di interesse, il 2 marzo scorso. Le due operazioni potrebbero rientrare nel medesimo scenario: Unipol è infatti salita al 9,9% del capitale Bper, diventandone il maggior azionista singolo, e avrebbe già chiesto a Bankitalia l’autorizzazione a superare lo sbarramento del 10%. Il numero uno di via Stalingrado Carlo Cimbri lo definisce «un buon investimento finanziario», ma in realtà gli ambienti finanziari pensano che la partecipazione sia finalizzata a pressare il management di Bper perché si carichi sulle spalle Unipol Banca, a questo punto più appetibile perché ripulita di gran parte delle sue zavorre. Unipol e Bper sono anche soci in Arca Vita, la compagnia di scopo che produce le polizze vita commercializzate dalla rete bancaria di Bper e da quella della Popolare Sondrio. Le due ex popolari sono poi i principali azionisti di Arca Sgr e stanno trattando l’acquisizione del rimanente 40% oggi in mano alle due «cugine» venete il liquidazione. Unipol avrà un posto a tavola anche qui? Un altro tassello del risiko riguarda le due pericolanti Casse romagnole Carim e Cassa Cesena. Entro il 15 luglio scade l’offerta non vincolante di Crédit Agricole-Cariparma per rilevarle entrambe, a condizione però che prima siano anch’esse ripulite dei crediti deteriorati e che siano dotate di un capitale sufficiente a garantirne l’operatività a breve. Toccherà allo Schema volontario del Fondo di tutela dei depositi (Fitd) in accoppiata con il Fondo Atlante soddisfare entrambe le condizioni. Tutto fa pensare però che alla fine i due istituti _ e la Cassa San Miniato in analoga condizione _, finiranno alla banca italo-francese con sede a Parma. Per le due romagnole si ipotizza addirittura la fusione in una neo costituita Cassa di Romagna sotto il controllo ferreo di Cariparma. Mentre insomma l’attenzione generale è catalizzata dal caso delle due ex popolari venete, proprio il sistema del credito emiliano-romagnolo si avvia a rimarginare le ferite di un terremoto durato quasi un lustro. In tutti e quattro i casi citati _ Carife, Unipol Banca, Carim e Cassa Cesena _ il vizio originario fu una sovraesposizione verso il settore immobiliare. Quello turistico alberghiero per le due banche affacciate sulla Riviera, la Coop Costruttori di Argenta per l’istituto estense, altre coop edili e qualche palazzinaro romano, oltre alla non riuscita integrazione banca-assicurazione, per i circa 300 sportelli con le insegne dell’Unipol. Per concludere il poco edificante quadretto della finanza emiliano-romagnola, non si può non accennare al putiferio che sta squassando la Repubblica del Titano. La Cassa di Risparmio di San Marino, principale banca del piccolo Stato con oltre 250 milioni di crediti deteriorati in pancia, è già stata nazionalizzata; la seconda, Asset Banca, è in liquidazione coatta amministrativa e ha sospeso l’operatività per mancanza di liquidità; la terza, il Credito industriale Sammarinese (Cis), è appesa all’offerta di un salvatore in kefiah proveniente dal Golfo Persico. Ma procediamo con ordine. Al passaggio di Carim e Cassa Cesena a Crédit Agricole-Cariparma mancherebbe solo l’accordo economico. La «due diligence» sui conti ora in corso servirà agli italo-francesi per definire prezzo e modalità dell’offerta irrevocabile e al Fondo interbancario per quantificare gli oneri legati al rispetto delle condizioni poste dai primi. Dai bilanci delle due Casse devono essere deconsolidate sofferenze e incagli (da 800 a 900 milioni per Rimini e 1,1 miliardi per Cesena) e il principale indice di solidità patrimoniale, il Cet1, deve rientrare per entrambe nei limiti fissati da Bankitalia, cioè 10,6%. Fitd, col supporto del Fondo Atlante e della Sga ex Banco Napoli, dovrebbe rilevare oltre la metà dei crediti dubbi di Rimini, Cesena e San Miniato attraverso una maxi cartolarizzazione da 2,8 miliardi prevista per settembre. Al termine, calcolate perdite e coperture, il capitale di Cassa Cesena, al 95% già detenuto da Fitd, sarà svalutato da 280 a circa 130 milioni (questa l’offerta monetaria di Crédit Agricole), mentre Rimini e San Miniato dovranno essere ricapitalizzate dal Fondo interbancario che ne diventerà azionista di maggioranza e successivamente le venderà, a prezzo zero, agli italo-francesi. Le cifre sono da definire, come abbiamo visto, ma si parla di un fabbisogno di almeno 120 milioni per Rimini che nell’assemblea del 28 giugno ha dovuto abbattere il capitale per coprire le perdite di 72,9 milioni messe a bilancio per il 2016. Altri 140 milioni almeno costerà al Fondo interbancario la ricapitalizzazione di San Miniato. Viste le cifre in ballo, negli ultimi giorni si è diffuso il timore che Fitd non abbia risorse sufficienti e che quindi tutta l’operazione possa saltare. Se invece andrà in porto, i vecchi soci Carim, a partire dalla Fondazione che oggi detiene il 56%, si ritroveranno in mano solo briciole di capitale (il 5% al massimo), più un warrant da esercitare in futuro, a banca risanata. Si riprodurrebbe così grosso modo la stessa situazione già maturata a Cesena. Questa almeno la proposta che l’ad di Parma Giampiero Maioli avrebbe avanzato incontrando le due Fondazioni e ipotizzando la chiusura dell’operazione entro l’anno. Anche il passaggio di Nuova Carife a Bper è avvenuto a costo zero per l’acquirente. Anzi, a un euro. I vecchi azionisti e gli obbligazionisti subordinati erano stati azzerati un anno e mezzo fa quando la Cassa ferrarese finì nel mazzo delle quattro good bank salvate per decreto (Carichieti, Etruria e Banca Marche le altre ora finite a Ubi Banca) stavolta con i soldi del Fondo di Risoluzione. Prima del passaggio a Bper, poi, il Fondo ha dovuto sborsare altri 290 milioni per riportare il capitale della banca alla quota minima di 153 milioni, una volta coperte le perdite pregresse fra gestione ordinaria, svalutazione degli attivi e cessione del portafoglio dei crediti deteriorati al Fondo Atlante e al Credito Fondiario per circa 340 milioni. In totale, nei tre anni di calvario Carife ha bruciato qualcosa come 400 milioni di capitale. E per finire citiamo il duello che spacca l’universo riformato delle Bcc. La holding nazionale Iccrea e quella trentina Cassa Centrale Banca si sfidano per attrarre più piccole Bcc possibile nell’orbita dei propri gruppi nazionali. In Emilia-Romagna, dopo Banca di Bologna, anche la neonata Bcc Felsinea ha voltato le spalle al presidente bolognese di Iccrea e di Emil Banca Giulio Magagni e ha scelto il secondo polo con baricentro in Trentino. E non sono le sole: un’altra mezza dozzina di Bcc ha fatto rotta su Trento. L’elenco comprende la Bcc della Romagna Occidentale, la Banca Centro Emilia, la piccola Bcc Alto Reno e il Credito cooperativo reggiano. A livello nazionale la contesa vede 162 Bcc finite in Iccrea e 110 in Cassa Centrale. Quest’ultima, però, avrebbe qualche difficoltà a raccogliere i 690 milioni necessari a raggiungere il miliardo di capitale, livello minimo fissato da Bankitalia per potersi costituire in gruppo. Molte Bcc aderenti, infatti, non avrebbero versato l’intera quota a loro carico. Anche perché nemmeno il mondo delle Bcc è immune alle difficoltà del credito in generale. Anzi. Solo in Emilia-Romagna le pericolanti sarebbero quattro o cinque. Per salvarle occorrerà procedere a nuove fusioni sul tipo di quella che ha messo in sicurezza il Banco Cooperativo Emiliano di Reggio Emilia facendolo confluire in Emil Banca. Ma questa sola operazione è costata oltre 100 milioni al Fondo Temporaneo di garanzie di tutte le Bcc italiane. Con una dotazione complessiva di 400 per tutti i salvataggi in giro per l’Italia, una decina almeno, non è detto che il Fondo abbia risorse sufficienti per tappare tutti i buchi ancora aperti nella nostra regione.
Massimo Degli Esposti